Le scuole italiane nel periodo coloniale (1890-1941)
di Silvia Nocchi

1890- 1907

Prima dell’inizio del colonialismo italiano le istituzioni che si occupavano dell’istruzione erano connesse con quelle religiose come chiese e moschee, poiché la popolazione eritrea era, ed ancora oggi è, approssimativamente 50% cristiana e 50% musulmana. Le “scuole del Corano” operavano su tutto il territorio e le lezioni si svolgevano nelle moschee, mentre le “scuole copte” operavano sugli altopiani del Paese e le lezioni si svolgevano all’interno delle chiese. L’istruzione occidentale nel Paese, ad ogni modo, non fu introdotta inizialmente dagli italiani. I lazzaristi francesi, infatti, stabilirono delle attività di istruzione nel territorio già dal 1840 e nel 1891 costruirono, a Massawa, una scuola per bambine che riceveva supporto finanziario dal governo italiano. I francesi istituirono anche una scuola elementare a Keren per ragazze e ragazzi i cui studenti erano principalmente orfani o provenivano da famiglie povere. Ma le relazioni fra i missionari francesi e il governo coloniale italiano peggiorarono verso il 1890, in parte perché i francesi non volevano insegnare ai loro studenti l’italiano. I tentativi da parte delle autorità coloniali, quindi, di rafforzare l’insegnamento di questa materia fallirono miseramente. Inoltre gli italiani volevano avere il totale controllo su ciò che veniva insegnato ai loro colonizzati. Ovviamente c’è da tenere conto che gli italiani, durante la ‘corsa all’Africa’, si sentivano minacciati dalla presenza francese nel territorio confinante di Gibuti. Inoltre l’istruzione offerta dai lazzaristi francesi non era compatibile con gli scopi degli italiani, ad esempio l’insegnamento della lingua e della cultura italiane per consolidare la loro supremazia. Come conseguenza, i lazzaristi vennero cacciati dall’Eritrea nel 1895. Dopo l’espulsione dei francesi, anche ai missionari svedesi, presenti sul territorio, poteva esser chiesto di andarsene, poiché anch’essi non insegnavano molto italiano nelle loro scuole. Tuttavia non rappresentavano una minaccia per la supremazia italiana e furono quindi fatti rimanere. Molte furono le scuole che aprirono, sparse per tutto il Paese. Le materie principali erano: tigrigna, amarico, tedesco e in alcune scuole l’italiano, oltre che storia, geografia e aritmetica. Tuttavia, anche se gli evangelisti svedesi si giovavano della protezione italiana, le relazioni non erano delle migliori. Due furono i fattori principali: il continuo attrito tra protestanti e cattolici ed il fatto che gli svedesi non si sforzavano di insegnare la lingua italiana nelle loro scuole. Inoltre la Chiesa ortodossa non tollerava la presenza dei protestanti. Vere e proprie persecuzioni furono evitate solamente grazie alla presenza degli italiani, ma quest’ultimi non avevano granché da guadagnarci. Alla fine del secolo, fu evidente che la colonia necessitava di adeguate istituzioni scolastiche, almeno per gli italiani residenti4. La prima scuola pubblica istituita dal governo italiano per la popolazione bianca fu aperta ad Asmara verso la fine del secolo e due insegnanti furono fatti venire dall’Italia per seguire le classi. Nonostante i budget limitati, venne anche costruito un edificio adeguato e inaugurato nel 1903. Nello stesso anno anche a Keren fu aperta una scuola italiana e vennero iscritti 25 bambini di entrambi i sessi. Nel 1905, invece, fu aperta un’altra scuola a Adi Ugri, con 17 bambini. A Massawa e Segheneti, dove viveva un numero di bianchi significativo, i missionari avevano già istituito delle scuole. I padri cappuccini infatti rimpiazzarono i lazzaristi francesi dopo la loro espulsione. Essi, in questa fase iniziale, dovevano principalmente occuparsi dell’istruzione della popolazione bianca. Ciò nonostante, furono attuate delle iniziative volte all’istruzione della popolazione locale. A Massawa c’erano una scuola ed un orfanotrofio (che fu fondato nel 1888), mentre ad Asmara un cappellano aveva iniziato a dare lezioni ai locali già da quando le truppe italiane si erano sistemate lì nel 1889. La scuola di Assab chiuse a causa di un’epidemia ed a causa del caldo insopportabile. Nel 1907, dunque, le scuole esistenti nel Paese per gli eritrei erano: scuole elementari a Massawa, Ghinda, Segheneti ed Asmara, dove si trovava anche un asilo, oltre che orfanotrofi a Keren, Segheneti ed Asmara. Le materie insegnate erano il tigrigna, l’italiano, l’amarico e qualche rudimentale conoscenza di aritmetica e agricoltura. Alle ragazze venivano insegnati principalmente i lavori domestici. Possiamo dunque affermare che, in quegli anni (dall’inizio del colonialismo fino al 1907), le autorità italiane erano soprattutto preoccupate a quali influenze venivano esposti gli eritrei. Inoltre Ferdinando Martini, governatore dell’Eritrea dal 1897 al 1907, afferma nei suoi appunti che era contrario all’introduzione di valori e conoscenze occidentali nella cultura eritrea e all’assunzione della popolazione locale negli uffici di amministrazione coloniale o nelle imprese private. L’istruzione degli eritrei era quindi assegnata ai missionari e molto spesso trascurata, anche se era uno dei metodi più efficaci per diffondere la lingua e la cultura dei colonizzatori.



1908- 1930

Durante questo periodo, la Grande Guerra non ebbe effetti negativi sull’istruzione nella colonia, a parte per alcuni tagli di budget. Ci fu comunque un aumento del numero di strutture scolastiche, dovuto anche al bisogno di interpreti e personale istruito per l’amministrazione coloniale e le imprese italiane in aumento. Nel 1907 il governatore Martini si dimise. L’Eritrea era ormai una colonia consolidata e poche furono le modifiche politiche fino al 1930, quando il fascismo prese il controllo del erritorio. Questo periodo fu caratterizzato da una crescita continua delle infrastrutture, nonché delle sttrutture scolastiche.Salvago-Raggi prese il posto di Martini come governatore, ed al contrario di quest’ultimo, era favorevole all’inserimento degli eritrei, come assistenti o impiegati, all’interno dell’amministrazione e dei servizi pubblici, come la ferrovia, le poste o il telegrafo. Salvago-Raggi istituì, inoltre, un programma di pubblica istruzione per la popolazione locale, per formare il personale addetto a questi lavori. I capi della popolazione musulmana, inoltre, avevano già espresso il proprio interesse nel dare ai loro bambini un’istruzione occidentale. Per questo motivo, nel 1908 fu aperta una scuola bilingue a Massawa, che prevedeva tre insegnanti: uno italiano, uno arabo e un assistente locale. Le materie insegnate, oltre l’arabo e l’italiano, erano anche geografia e aritmetica. Questa scuola operava da ottobre a giugno e prevedeva due anni accademici. Nel 1908 vennero iscritti 35 bambini, mentre nel 1913 il numero salì a 60. Lo scopo principale alla base di questa scuola bilingue era di formare i figli di mercenari per facilitare, in futuro, gli scambi commerciali e dare l’opportunità a chi volesse di trovare lavoro nell’amministrazione italiana come interprete o impiegato. Venne infine aggiunto un terzoanno accademico. La scuola, tuttavia, rimase esclusivamente riservata ai figli di musulmani fino quando, nel 1930, venne poi affidata ai padri cappuccini. È la scuola di arti e mestieri di Keren, tuttavia, ad essere considerata la prima istituita dal governo italiano. Anch’essa era destinata ai figli di musulmani, ma vennero poi ammessi anche i bambini di altre religioni. Aprì nel 1909 e fu chiamata “Salvago Raggi” in onore del fondatore. I propositi della scuola erano:

  • portare una nuova cultura e civilizzazione alla popolazione locale;
  • dare un’istruzione elementare ai figli dei capi tribù che avrebbero preso il posto dei padri nell’amministrazione dei villaggi;
  • preparare i giovani eritrei ad un futuro impiego nelle amministrazioni sia private che governative;
  • istruire i bambini nei vari mestieri.
Gli anni accademici erano tre e comprendevano l’insegnamento elementare dell’italiano, dell’aritmetica, della geografia, della geometria, dell’agricoltura, dell’arabo e lo studio del Corano. Inoltre i mestieri insegnati erano: scrittura a macchina, uso del telegrafo, falegnameria e conoscenze base del maniscalco. In più i bambini seguivano un allenamento militare e fisico. Gli insegnanti, a parte per quello di arabo, erano tutti italiani. I risultati che si ottennero dall’istituzione di queste scuole furono molto positivi, al punto che ne vennero costruite altre due. Inoltre, per provvedere ad un’istruzione anche per i cristiani ortodossi, come fu fatto per i musulmani, venne aperta la scuola di arti e mestieri “San Giorgio” nel 1914 ad Adi Ugri. Era anche questa un collegio che riservava i posti ai figli di capi. Il corso di studi durava quattro anni e prevedeva l’insegnamento di materie come l’italiano, l’arabo, l’amarico e il tigrigna; oltre che l’insegnamento pratico di scrittura a macchina, falegnameria e uso del telegrafo, corsi accessibili anche ai bambini non figli della nobiltà locale. L’addestramento fisico e militare, inoltre, era obbligatorio per tutti gli studenti della scuola. Sempre nel 1914 fu terminata la costruzione della scuola di arti e mestieri “San Michele” e iniziarono le lezioni. Questa scuola era destinata alla popolazione cattolica della regione Akele-Guzai. Ai figli dei capi cattolici e ai meticci non riconosciuti dal genitore italiano provenienti da tutta la colonia veniva data l’opportunità di alloggiare nel collegio. Erano comunque ammessi i ragazzi provenienti dalla regione appartenenti ad ogni religione. Le materie insegnate erano tigrigna, italiano, aritmetica, storia e geografia. I corsi di arti e mestieri prevedevano meccanica, scrittura a macchina, selleria, calzoleria, falegnameria e confezione di abiti. Come in tutte le altre scuole l’addestramento fisico e militare era obbligatorio. Gli insegnanti erano i missionari dei padri cappuccini, sia italiani che eritrei. Nonostante l’amministrazione di “San Michele” fosse affidata ai cappuccini, la scuola era sotto la supervisione del governo e doveva rispettare i programmi ufficiali in vigore per usufruire di supporto finanziario. I primi anni di questo periodo videro, quindi, una fiorente crescita di strutture scolastiche per la popolazione locale. Eccetto che per gli eritrei cattolici, che ammettevano anche gli orfani, queste scuole erano destinate inizialmente ai figli della nobiltà locale, ma furono restrizioni che non ebbero lunga vita. Come si può notare queste scuole erano di “arti e mestieri”. Ciò implicava che l’attenzione si sarebbe focalizzata sull’insegnamento pratico e manuale, limitando le materie teoriche ai minimi indispensabili. L’apertura di queste scuole ci mostra, indubbiamente, un crescente interesse riguardo l’istruzione della popolazione locale. La questione riguardante le politiche sull’istruzione venne ampiamente discussa anche dall’allora ministro degli esteri Antonio di San Giuliano, che visitò l’Eritrea nel 1891. Egli affermò che l’argomento andava considerato attentamente per non causare nessun inconveniente politico o morale. Gli sembrò necessario non introdurre i modi di fare e pensare occidentali nella popolazione locale, perché non si sarebbero intonati con la mentalità tradizionale. Furono quindi aperte scuole governative e gli statuti vennero approvati per ognuna di loro, ma fino al 1916 non venne pubblicato nessun comunicato ufficiale. La circolare dichiarava che le nuove generazioni nate “sotto la nostra bandiera” dovevano essere istruite per apprezzare i suoi benefici e ammirare il suo prestigio. Questo poteva essere fatto offrendo un’istruzione pubblica per migliorare la condotta morale e intellettuale. Inoltre la circolare insisteva sul fatto che l’istruzione non era solo un obbligo imposto dalla potenza coloniale come parte di una “missione di civilizzazione”, ma anche un importante mezzo di influenza politica, che richiedeva precise linee guida. Da quel momento, i commissari delle regioni che ospitavano delle scuole governative dovevano riportare ogni mese lo stato di istruzione, disciplina e condizioni igieniche e dovevano controllare le scuole musulmane e ortodosse. Era anche richiesto loro di intervenire quando possibile per incoraggiare e disciplinare. Da questo documento possiamo, quindi, presupporre che ci fosse una crescente presa di coscienza politica sui potenziali dell’istruzione pubblica per la popolazione locale, poiché c’era un costante bisogno di personale formato e un forte desiderio di propagare l’italianismo. Nel 1918, il governatore rilasciò un documento sugli statuti dominanti per le scuole di arti e mestieri in Eritrea. Esponeva le opportunità, che queste scuole davano, di un’istruzione civile e morale attraverso la formazione nelle arti e nei mestieri ed il perfezionamento di questi per far si che gli studenti diventassero bravi lavoratori. Nel 1921, il governatore marchese Giovanni Cerrina Feroni rilasciò un decreto sull’istruzione degli eritrei, che stabiliva che i metodi di istruzione dovevano essere rivisti e modificati per far fronte al bisogno di personale formato per il commercio, l’industria e l’amministrazione. Le scuole per gli eritrei dovevano essere divise in tre gruppi: scuole di arti e mestieri, scuole elementari e una scuola superiore. Le scuole “Salvago-Raggi” di Keren e “San Michele” di Segheneti non subirono molte modifiche, ma dovettero introdurre l’insegnamento dell’italiano, della lingua locale e di alcune materie a livello elementare come l’aritmetica e la geometria. I corsi di studio non potevano durare più di quattro anni. Oltre la “Ferdinando Martini” di Massawa e la “San Giorgio” di Adi Ugri, le scuole elementari erano quelle dei missionari e dovevano insegnare l’italiano, la lingua locale, l’aritmetica, la geografia, la geometria, la calligrafia e l’educazione fisica e morale, come anche qualche nozione di agricoltura. Le scuole elementari duravano tre anni. Per l’ammissione a queste scuole era previsto il pagamento di tasse scolastiche, eccetto che per le scuole di arti e mestieri. L’istituzione di una scuola superiore era ancora ad uno stadio iniziale, anche se gli articoli dei vari decreti emanati in quel periodo prevedevano un corso di due anni dopo la scuola elementare che provvedeva all’insegnamento di alcune materie aggiuntive. Si dovette comunque aspettare il 1926, quando il governatore Gasparini aprì la “Vittorio Emanuele III” ad Asmara. Si trattava di una scuola che prevedeva quattro anni di scuola elementare e due di scuola superiore. Non venivano fatte distinzioni riguardo l’appartenenza religiosa ed i programmi si basavano su quelli effettuati nelle scuole elementari italiane con corsi aggiuntivi in arabo, amarico e tigrigna. L’istruzione della popolazione locale in quegli anni era chiaramente destinata alla formazione di una forza lavoro coloniale. Infatti le materie insegnate avevano tutte lo scopo di insegnare agli studenti le abilità necessarie per trovare un impiego nell’amministrazione e nelle imprese coloniali. In più, l’istruzione serviva per diffondere i valori e la cultura italiani, non solo per consolidare la dominazione italiana, ma anche perché esisteva l’idea che l’istruzione fosse un dovere per la civilizzazione.

Organizzazione dei vari anni scolastici nelle scuole pubbliche italiane

Più in specifico, le materie insegnate nelle scuole elementari venivano divise in base agli anni. Al primo anno, infatti, agli studenti veniva insegnato l’italiano attraverso semplici esercizi di scrittura e pronuncia. Veniva anche insegnato loro a scrivere nella lingua locale e a tradurre tra le due lingue. Tutte le lezioni si svolgevano in italiano, eccetto che per quelle in tigrigna. Le lezioni di aritmetica comprendevano l’apprendimento dei numeri e del conteggio. Inoltre, veniva data molta attenzione all’educazione morale come l’obbedienza, il corretto comportamento e l’igiene personale. Il secondo anno prevedeva le stesse materie più altre. Venivano impartite delle nozioni riguardo la natura, i minerali, gli animali e le piante, il corpo umano, le sue funzioni e i suoi bisogni. Per quanto riguarda l’aritmetica venivano, invece, insegnate le addizioni, sottrazioni e altre operazioni matematiche. Le lezioni di italiano e della lingua locale continuavano, adesso con un lettore. Al terzo anno agli studenti venivano anche insegnate delle nozioni di diritto, dello stato e delle sue istituzioni. Venivano anche inserite la geometria, la storia e la geografia5. (5 La geografia comprendeva lo studio solo dei territori eritreo ed italiano, mentre la storia trattava degli avvenimenti in Etiopia, Egitto e Somalia, oltre quello dell’arrivo degli italiani in Eritrea, che venivano descritti come dei portatori di pace, lavoro e civilizzazione. Inoltre le lezioni di storia comprendevano la descrizione di importanti personaggi ed eventi della storia italiana.) Al quarto anno non venivano aggiunte ulteriori materie, ma venivano solo perfezionate quelle già elencate, eccetto che per un corso elementare di contabilità. Il quinto e sesto anno alla “Vittorio Emanuele III”, unica scuola che prevedeva un corso di scuola superiore, erano intesi per il perfezionamento delle conoscenze. Le lezioni delle lingue continuavano, come anche i corsi di matematica e scrittura. L’educazione morale voleva enfatizzare i rischi dell’alcol, del tabacco e dei soldi. Le lezioni di storia si occupavano dei vari regimi coloniali africani, per presentare le amministrazioni europee come portatrici di pace e civilizzazione, se comparate con le condizioni barbariche in cui si trovavano prima. C’erano anche corsi di geografia, scienza e fisica, pertinenti all’agricoltura, l’industria e il commercio dell’Eritrea. I corsi di contabilità avevano lo scopo di insegnare agli studenti a gestire un piccolo ufficio, sia privato che pubblico. In fine, c’era un corso di due anni in scrittura a macchina e telegrafo che comprendevano anche delle nozioni elementari di elettricità e del codice morse. Per quanto riguarda le scuole di arti e mestieri, invece, le lezioni era divise in programmi settimanali: quattro ore di disegno, otto di italiano, aritmetica e materie varie, quattro di tigrigna, quattro di addestramento militare, fisico e quattro di agricoltura, oltre alle trentadue ore di pratica nei vari mestieri. È importante notare inoltre che i programmi per gli studenti eritrei si concentravano anche sull’addestramento fisico e militare per preparare i ragazzi ad un possibile arruolamento come ascari nell’esercito coloniale. Durante il primo anno, l’addestramento si svolgeva senza armi, mentre al secondo anno veniva dato a ciascun ragazzo un moschetto, che dovevano imparare ad usare e mantenere. Negli anni seguenti di addestramento venivano perfezionate le discipline militari. Gli studenti inoltre dovevano indossare un’uniforme composta da pantaloni e camicia bianchi e una cintura azzurra intorno alla vita. Sia l’uniforme che il moschetto che il vitto e l’alloggio venivano forniti dalla scuola. Le giornate nei collegi erano molto impegnative. Dalla mattina alle 05.30 fino al coprifuoco alle 20.00 era tutto pianificato, coma anche le domeniche e le altre festività. La scuola era aperta tutto l’anno. Gli esami finali erano a luglio; e dall’inizio di questi fino ad ottobre le lezioni erano sospese, tranne che per i laboratori di arti e mestieri. L’indisciplina era severamente punita. Le punizioni avevano sette stadi, dal semplice rimprovero alla punizione corporale, fino all’espulsione dalla scuola. Anche gli insegnanti dovevano rispettare delle regole di disciplina: era severamente vietato usare modi offensivi verso gli studenti, poiché ciò avrebbe potuto avere degli effetti sovversivi sull’autorità e la reputazione della scuola. Questi programmi e regolamenti danno l’impressione di una politica cosciente per quanto riguarda la possibilità di educazione dei bambini eritrei. I principali interessi degli italiani erano la diffusione della lingua e la formazione di personale. Inoltre, l’educazione morale voleva infondere agli studenti il rispetto verso i genitori, gli insegnanti e le autorità, nel quale si ritrova lo scopo di creare una generazione di buoni lavoratori affidabili e fedeli verso la colonia. Un’altra interpretazione che possiamo dare dei programmi educativi italiani degli eritrei è quella di rappresentare il colonialismo come beneficio per i paesi africani, a cui ha portato pace e civilizzazione e l’opportunità di una vita prosperosa.

Altre istituzioni scolastiche

Ci furono comunque delle istituzioni scolastiche di altra origine. Ad esempio la scuola gestita da Padre Bonomi ad Asmara. Questa scuola fu fondata da lui stesso nel 1890, quando arrivò in Eritrea. Quando i primi bambini italiani arrivarono, cercò di creare delle classi miste con gli studenti del posto, ma il suo progetto non ebbe successo, in quanto una legge proibì ogni co-educazione. Dovette quindi insegnare agli studenti italiani in classi separate con programmi differenti, secondo i regolamenti del governo. La scuola di Padre Bonomi divenne molto conosciuta tra gli abitanti di Asmara. L’insegnamento era diviso in quattro corsi: il primo era un corso preparatorio, che i bambini avrebbero frequentato finché non avessero avuto una sufficiente conoscenza dell’italiano e una sufficiente capacità di lettura e scrittura. Gli altri tre corsi prevedevano le usuali materie elementari. Già nel 1905 la scuola contava 150 studenti, di cui 20 italiani e 40 di altre nazionalità. Nel 1913 il numero salì fino a 270 e nel 1927, quando Padre Bonomi morì, la scuola contava più di 300 studenti. Non ci fu nessuno a continuare il lavoro di Bonomi, ma alcuni dei suoi studenti vennero ammessi alla “Vittorio Emanuele III”, appena aperta. La maggior parte del lavoro scolastico era comunque portato avanti dai vari organi missionari. Gli svedesi operavano ancora nelle infrastrutture per la popolazione locale. I padri cappuccini si occupavano per la maggior parte delle attività cattoliche, e nel 1911 portarono ad Asmara la stampante che si trovava a Keren ed iniziarono a stampare i testi scolastici per la popolazione locale. Inoltre, nei villaggi dove stazionava un prete cattolico, erano previsti alcuni insegnamenti elementari. I preti di questi villaggi erano di origine locale e l’istruzione che fornivano era essenzialmente religiosa, ma insegnavano anche a leggere e scrivere in tigrigna e, se il prete lo conosceva, anche qualche nozione di italiano. È anche necessario ricordare che il governo provvedeva a fornire un’insegnamento rudimentale anche agli ascari arruolati nell’esercito coloniale. Nonostante il grande impegno da parte delle associazioni di missionari riguardo le scuole e l’istruzione, le autorità laiche non sempre erano contente della loro presenza ed influenza. Il congresso coloniale che si tenne ad Asmara nel 1905 si accordò comunque di mantenere una collaborazione con i missionari, ma continuarono ad avvenire degli scontri tra le istituzioni laiche e quelle di missionari. Nel 1918, il commissario di Asmara si lamentò della mancanza di regolamenti nelle attività scolastiche gestite dai missionari e insistette sul fatto che il governo coloniale avrebbe dovuto far rispettare a queste scuole i regolamenti scolastici previsti. Non furono, però, istituiti dei regolamenti riguardanti le istituzioni scolastiche gestite da enti religiosi privati fino al 1928, quando venne dichiarato che tutte le scuole ed i programmi scolastici dovevano essere approvati dal governo coloniale. Questo decreto prevedeva lezioni in lingua italiana sei volte la settimana, tutte le istruzioni dovevano essere date in italiano e in nessuna circostanza un’altra lingua straniera veniva accettata come lingua di insegnamento. In caso di mancato rispetto di queste regole, la scuola sarebbe stata chiusa. Ad ogni modo, le relazioni fra i missionari, specialmente i cattolici, e le autorità laiche non erano ostili. Infatti molte delle scuole erano gestite dai missionari, pur restando sempre controllate dal governo coloniale. In effetti si potrebbe pensare che, a causa dei budget bassi, le autorità coloniali fossero ben felici di lasciare ai missionari il compito di provvedere un’istruzione, sempre sotto la supervisione del governo. Molti tentativi di attuare delle politiche scolastiche che regolassero l’istruzione della popolazione locale furono fatti durante questo periodo, anche se attuate dopo l’effettiva apertura delle scuole. Tuttavia si può presupporre che che lo scopo principale dietro l’istruzione degli eritrei non fosse di accrescere il loro livello intellettuale, ma di formare una forza lavoro ‘economica’ per le crescenti imprese della colonia. La “San Michele”, infatti, veniva descritta come una scuola con lo scopo di formare lavoratori eritrei di religione cattolica. Gli studenti inoltre venivano assunti anche prima di terminare gli studi. Inoltre, l’addestramento militare aveva un preciso scopo: preparare i giovani ad un futuro arruolamento nell’esercito coloniale. Nonostante ciò, è opportuno notare che le autorità coloniali si sforzarono di creare istituzioni scolastiche che rispettassero i vari gruppi etnici o religiosi, costruendo scuole per ognuno di essi.

1930-1941

Durante gli anni ’30 le politiche imperialiste vennero potenziate e consolidate. Ciò determinò l’entrata in gioco del fascismo negli affari coloniali. Fu quindi un decennio turbolento per i territori africani italiani, principalmente a causa dell’invasione dell’Etiopia, delle azioni militari e del regime del terrore attuato dal fascismo. Il fascismo ebbe delle ripercussioni sulle politiche scolastiche della colonia e sulla popolazione eritrea, dovute anche alle teorie razziali del movimento che ebbero effetti diretti sulla popolazione locale. Giova ricordare che la composizione della popolazione in Eritrea ha subito, dai primi anni del Novecento fino ad oggi, notevoli mutamenti. Infatti, nel 1910 a fronte di una popolazione eritrea di 390.000 individui gli italiani erano 1000, nel 1935, 610.00 erano gli Eritrea e 3100 gli italiani, nel 1939 gli eritrei erano 740.000 ed avvenne un notevole incremento della popolazione italiana che giunse alla cifra di 76.000. Poi nel 1946 gli eritrei 870.00 ed italiani 38.000, mentre oggi a fronte di una popolazione eritrea di circa 4.500.000 di abitanti gli italiani sono 800. Questi dati ci fanno capire come, sopratutto negli anni trenta, divenne assolutamente necessario potenziare le strutture scolastiche dedicate specialmente agli italiani. In questa ottica, troviamo scuole elementari e medie in quasi tutte le città principali del Paese (Keren, Massawa, Segheneti, Decamerè) mentre nella capitale Asmara numerose erano anche le scuole superiori, come il liceo classico, il liceo scientifico, l’istituto commerciale ed il rinomato istituto per geometri “Bottego” che, ogni anno, diplomava giovani che erano molto apprezzati e professionalmente qualificati in tutto il Corno d’Africa e non solo. Queste scuole prestigiose erano riservate solo agli italiani. Di gran parte di queste scuole si possono ancora ammirare gli edifici, come per esempio la scuola elementare di Keren e quella di Massawa.

Alcune informazioni sul Fascismo

Il termine fascismo deriva da fascio, che nell’antica Roma era, legato insieme ad un ascia, il simbolo dell’autorità. I fasci, prima della Grande Guerra, erano gruppi politici organizzati. La parola fascismo, comunque, non entrò in uso fino al 1919 con l’avvento di Mussolini. Le origini del fascismo derivano da una reazione contro le idee scientifiche, economiche, politiche e filosofiche dell’Europa del XIX secolo. Le rivoluzioni che avvennero in Europa e i punti di vista politici di pensatori come Karl Marx, svilupparono atteggiamenti antagonisti verso le istituzioni consolidate. I tradizionalisti videro in ciò la via per la perdizione e il bisogno di riaffermare i valori dell’autorità e della disciplina. Un altro fattore fu la nascita del moderno nazionalismo, che nella sua forma più aggressiva, ritneva un diritto sottomettere coloro che venivano considerati di una razza inferiore dell’umanità. Giustificava moralmente, quindi, le azioni e le politiche imperialiste per la ricerca di materie prime per l’industrializzata Europa. Il fascismo assunse il potere in Italia nel 1922, quando Mussolini intraprese la “Marcia su Roma”. Al contrario del nazismo, l’anti-semitismo non fu una questione essenziale per l’ideologia fascista fino all’introduzione di leggi razziali nel 1938. Le politiche razziali erano, inizialmente, basate sul crescente problema riguardante le relazioni tra uomini italiani e donne indigene nei territori coloniali italiani. Un decreto del 1937 vietava ogni relazione di natura coniugale tra italiani e indigeni. Ma queste restrizioni erano basate solamente su criteri culturali. Il decreto, infatti, non fa riferimento a concetti biologici di razza.

L’istruzione negli anni del Fascismo

Nel 1931 uscì un nuovo regolamento che riguardava le scuole per gli eritrei. Le scuole “Vittorio Emanuele III” di Asmara, “Ferdinando Martini” di Massawa, “Giuseppe Sapeto” di Assab e “San Michele di Segheneti vennero confermate come scuole elementari. La “Salvago-Raggi” di Keren continuò ad essere una scuola di arti e mestieri, mentre la “San Giorgio” di Adi Ugri diventò una scuola di agraria, poiché i corsi di arti e mestieri erano stati discontinui a causa della mancanza di personale. Cessarono di esserci, inoltre, preferenze riguardo l’appartenenza religiosa degli studenti. La durata del corso di studi delle scuole elementari fu stabilita di quattro anni, mentre nelle scuole professionali di tre anni divisi tra materie elementari teoriche e laboratori pratici. Il quarto e quinto anno alla “Vittorio Emanuele III” servivano come una sorta di scuola media per gli eritrei ed erano gli unici corsi, dopo le scuole elementari, offerti alla popolazione locale. Secondo il decreto, era necessario un diploma di questa scuola perché gli eritrei potessero essere assunti come dattilografi, interpreti o impiegati. Non vennero, però, mai richiesti diplomi, a causa della mancanza di personale formato per le imprese. Per quanto riguarda le scuole private, secondo il decreto, necessitavano di supervisione e controllo, come già sottolineato nel 1928. Fu aggiunto però un punto: il decreto del 1928 permetteva l’insegnamento nelle varie lingue locali. Questo venne permesso solamente alle scuole del Corano e a quelle Cristiane Ortodosse. Tutte le altre scuole private, gestite per la maggior parte da enti religiosi, erano obbligate non solo ad insegnare l’italiano, ma ad usarlo come lingua di insegnamento. Un altro problema era l’età degli studenti delle scuole di arti e mestieri. Per poter essere ammessi i ragazzi dovevano avere dai sei ai dieci anni, ma erano troppo piccoli per poter insegnare loro lavori manuali, in quanto il loro corpo era ancora in fase di crescita e sviluppo. Fu, quindi, suggerito di aspettare fino al terzo anno per l’insegnamento pratico e manuale. Inoltre, nel valutare i programmi delle varie materie insegnate nelle scuole elementari, venne notato che molte delle cose insegnate erano inutili per gli studenti locali. Come ad esempio il Risorgimento italiano, probabilmente a causa della lotta per l’unità e la libertà che caratterizzò quel periodo della storia. Fu quindi sottolineato il fatto che gli eritrei non avrebbero mai dovuto ricevere la stessa educazione che riceveva la popolazione europea. Ad essi dovevano essere insegnate materie pratiche che gli sarebbero servite realmente, come leggere, scrivere e qualche nozione elementare di matematica. Le arti e i mestieri dovevano essergli insegnati solamente se era nell’interesse dell’economia coloniale. L’idea era, quindi, di insegnare agli eritrei materie prettamente manuali. Non furono comunque fatte grandi modifiche alle politiche scolastiche precedenti. L’unica restrizione più importante fu quella di imporre l’italiano come sola lingua di insegnamento, eccetto che nelle scuole tradizionali. Tale orientamento era ispirato anche dalla considerazione che si doveva dare agli eritrei un’istruzione che gli mettesse in grado di svolgere compiti funzionali alla colonizzazione italiana, evitando attentamente di far si che l’istruzione ricevuta avesse come effetto la nascita élite intellettuali che potessero essere pericolose per il regime. Nel 1932 fu aperto un ufficio centrale per la supervisione di tutte le scuole della colonia, sia pubbliche che private, sia per gli eritrei che per gli europei. Andrea Festa fu nominato direttore. Il suo compito era assicurarsi che l’istruzione fosse conforme ai principi del regime fascista. All’inizio del suo lavoro, Festa dovette affrontare due problemi che necessitavano particolare attenzione: l’istruzione degli eritrei e l’istituzione di scuole per le ragazze eritree. Già nel 1933 aveva effettuato cambiamenti ai regolamenti approvati nel 1931. La scuola media, ad esempio, fu abolita, poiché, secondo Festa, il nome era troppo pretenzioso e “causava troppe incomprensioni tra i nativi le cui aspirazioni molte volte superavano il loro status”. Fu quindi trasformata in una scuola complementare, che offriva un programma per completare ed integrare le conoscenze basilari acquisite durante le elementari. Festa, inoltre, si concentrò spesso sulla questione dell’igiene. Riteneva importante che i bambini imparassero e sentissero la necessità di lavarsi. Ciò era particolarmente importante durante l’educazione di bambine che sarebbero diventate le mogli degli eritrei con un’istruzione e le governanti delle famiglie europee. Le scuole per ragazze furono un’idea promossa da Andrea Festa stesso, ma non si realizzarono fino al 1937. Erano destinate alle bambine tra 6 e 12 anni e l’istruzione era sempre di livello elementare che comprendeva l'insegnamento dell’italiano e di vari lavori domestici, come il cucito. Le materie, quindi, che Festa riteneva più importanti per l’istruzione degli eritrei, erano l’italiano, la geografia, la storia dell’Italia, oltre che l’igiene personale. Si preoccupò di abolire totalmente l’insegnamento di materie come ad esempio il Risorgimento e altri argomenti, ritenuti inutili e inadeguati per le “modeste” capacità degli eritrei, o politicamente imprudenti. L’atteggiamento di Festa, inoltre, era essenzialmente fascista, non solo perché voleva ridurre i programmi educativi per gli eritrei al minimo, ma anche per il suo modo di descrivere il loro potenziale e le loro possibilità. Si riferiva a loro con ‘primitivi’ o ‘di una razza inferiore’ rispetto agli europei. Insomma, Festa vedeva le scuole per gli eritrei come una sorta di ‘penetrazione civile’, una missione di civilizzazione che ogni potenza coloniale avrebbe dovuto intraprendere. I bambini erano, naturalmente, i diretti interessati, poiché erano più facilmente influenzabili dalla cultura italiana e avrebbero a loro volta influenzato i loro genitori e familiari. Gli unici adulti a ricevere un’istruzione erano gli ascari che facevano parte dell’esercito coloniale. Nel 1934 i nuovi regolamenti vennero approvati, determinando quattro anni di scuola elementare, più corsi aggiuntivi di ari e mestieri. I due anni complementari alla “Vittorio Emanuele III” erano riservati agli studenti che si erano distinti. L’idea iniziale era che gli studenti di questa scuola sarebbero stati gli unici a poter essere assunti come insegnanti, interpreti o impiegati. Tuttavia le statistiche mostrano una scarsa frequenza a questa scuola. Non fu, comunque, a causa degli eritrei, troppo ignoranti per ottenere l’ammissione; ma a causa degli italiani, riluttanti all’idea che studenti locali cercassero un’ulteriore istruzione. Un’altra ragione fu il fatto che l’amministrazione coloniale necessitava urgentemente di personale per preoccuparsi di considerare il livello di istruzione degli impiegati. Nel 1936, poco dopo la proclamazione di sovranità dell’Italia in Etiopia, furono approvati nuovi regolamenti riguardanti il sistema scolastico. Questi affermavano che le procedure applicate in Eritrea negli ultimi cinque anni dovevano essere applicate anche in Etiopia. I documenti affermano anche che a causa dei molti gruppi etnici e delle molte religioni, sarebbe stato impossibile formare una politica unitaria. Le materie insegnate e le lingue adoperate si sarebbero, quindi, differenziate di conseguenza. Nel 1937 furono, inoltre, aperte le scuole per ragazze e nel 1941 in Eritrea erano presenti circa 25 scuole elementari pubbliche. Durante il periodo fascista venne, inoltre, intensificato l’addestramento militare. Fu istituita un’organizzazione per i giovani militanti eritrei.

Conclusioni

Conclusioni A conclusione di questo paragrafo e sulla base di quanto vi è stato esposto, ritengo opportune alcune considerazioni e riflessioni conclusive. Innanzitutto, si deve tenere ben presente che l’impresa coloniale italiana in Eritrea, come tutte le imprese coloniali dei paesi europei in Africa e non solo, fu un atto di violenza e di prevaricazione caratterizzato purtroppo da numerosi episodi nei quali le popolazioni locali furono vittime di atti orribili, di discriminazioni e di ingiustizie. Si entrava da padroni in casa di altri imponendo la propria autorità e la propria civiltà, impadronendosi con la forza di ciò che non ci apparteneva e che veniva utilizzato a proprio esclusivo beneficio. Se in questo processo, come è ovvio, la forza militare era quella preponderante, si deve anche sottolineare l’importanza delle istituzioni scolastiche come strumento finalizzato alla soggezione di un popolo e al suo totale controllo. Date queste premesse, è estremamente difficile vedere nella gestione da parte degli italiani in Eritrea dell’istruzione aspetti positivi, perché anch’essa era utilizzata come se fosse un’arma, anche se dopo molti decenni dalla fine del colonialismo italiano in Eritrea, si può affermare che le nostre scuole abbiano avuto, e tutt’ora abbiano, comunque un ruolo che per certi aspetti può essere valutato positivamente. In altri termini, si potrebbe dire che il giovane stato eritreo, così come si trovi adesso nella condizione di utilizzare e sfruttare ciò che i coloni italiani hanno lasciato (edifici pubblici e privati, vie di comunicazione, strutture produttive ecc.) anche la scuola italiana sia oggi una preziosa risorsa per il Paese. Questo può essere considerato un parziale indennizzo dei torti e dei soprusi che per decenni le popolazioni eritree hanno subito dagli italiani.




 

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