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ERITREA

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Le Isole Dahlak

"Questa è la tua casa" sembra essere l'etimologia araba di Dahlak, il nome di un arcipelago di 209 isole al largo di Massawa. Il benvenuto però le isole lo danno a fatica: infatti, dopo decenni di isolamento dovuto alla guerra di liberazione dell'Eritrea dall'Etiopia, la visita alle isole non è facile. Ancora pochi sono quindi i turisti stranieri, e ancora di meno gli eritrei, che sono riusciti a recarsi a visitare questi gioielli del Mar Rosso.


L'isola Cundabilu

Ufficialmente appartenenti all'Eritrea dal 1993 le isole hanno una origine geologica relativamente recente.
E' la separazione dell'Africa dalla penisola arabica che ha portato ad un graduale sollevamento della piattaforma che comprende le Dahlak. Quando nel penultimo periodo interglaciale, tra i 200.000 e i 120.000 anni fa il fondale marino non fu più profondo di 50 metri si sviluppò la maggior parte delle spesse barriere coralline che costituiscono ora le rocce delle isole. Il processo continuò anche nell'ultimo interglaciale, intorno agli 80.000 anni fa, ma poi l'ultima glaciazione, quella wurmiana, fece abbassare il livello del mare più volte anche di 150 metri rispetto al livello attuale provocando una catastrofe idrica. L'acqua dell'oceano indiano non riusciva più a entrare nel Mar Rosso, bloccata da una soglia poco a nord della porta meridionale del Mar Rosso, il Bab al Mandeb e il mare per la forte evaporazione e lo scarso apporto di acque fluviali si trasformò in un lago ipersalino, simile all'attuale Mar Morto. Inoltre la temperatura scese in mare aperto a 13-14° C e tutta la normale fauna e flora marina tropicale morì. Durante questa fase le Dahlak non esistevano come isole ma facevano parte di un'area collegata alla terraferma e furono quindi invase facilmente dalla flora e fauna continentale. Prova di questa colonizzazione è per esempio una specie di rospo (Bufo blanforti) che vive sull'isola maggiore, Dahlak Kebir, che non può aver colonizzato le isole via mare.
Con la fine dell'ultima glaciazione e con lo scioglimento dei ghiacciai, il livello dell'Oceano Indiano riprese a salire e 11000 anni fa l'acqua superò la soglia e ricreò il Mar Rosso e le isole Dahlak. Solo 5000 anni fa però il livello del mare raggiunse il livello attuale e le isole assunsero un aspetto simile a quello che conosciamo.
Col ritorno del mare e di condizioni climatiche migliori l'uomo si affacciò sulle Dahlak. Sembrano essere del periodo mesolitico infatti le schegge di ossidiana, importata dalla Dancalia, che si ritrovano qua e là sulle isole.


Vecchio e giovane a Dissei

Le isole faticarono ad affacciarsi alla storia anche se erano certo conosciute fin dal tempo degli antichi regni egizi a causa dei commerci via mare lungo tutto il Mar Rosso. Furono dominio degli axumiti per secoli, situate proprio di fronte al loro porto, Adulis, nel golfo di Zula, ma finirono in mano araba nell'VIII secolo. Dall'XI al XV secolo un potente sultanato indipendente si sviluppo sulle isole, arricchito dai commerci, dalla raccolta di perle e dall'acqua abbondante delle cisterne di Dahlak Kebir, fondamentali per le navi di passaggio. Il sultanato però ebbe fine col risorgere della potenza abissina e con l'arrivo delle navi portoghesi che presero a cannonate il villaggio di Dahlak Kebir nel 1526.
Oggi solo le antiche cisterne, unica fonte di acqua dell'omonimo villaggio, insieme con la necropoli restano a testimoniare quel glorioso passato.
Nel 1557 arrivarono i turchi e per trecento anni controllarono le isole, che persero però importanza a scapito di Suakin, porto sudanese favorito dai nuovi padroni. Poi è storia recente: la colonizzazione italiana, il protettorato inglese e infine gli etiopi fino al 1991, anno della liberazione.

Ora solo 2500 abitanti sopravvivono sparpagliati in quattro isole: sono di etnia afar, tigré o discendenti diretti dei dominatori arabi.
A Dahlak Kebir molti parlano come lingua madre il Dahlik, una lingua scoperta solo nel 1996, anche se tanti, soprattutto gli uomini, sono plurilingui. Vivono di pesca, fatta con metodi tradizionali, e dell'allevamento di capre. I turisti, che rari attraccano all'unico albergo delle isole o che campeggiano sulle spiagge deserte non sono ancora una risorsa.


Pesce pagliaccio

Se il lungo isolamento non ha permesso uno sviluppo moderno, ha preservato però quasi intatta la natura delle isole.
Il mare, sempre caldo (dai 27 ai 32 gradi a seconda della stagione) e ricco di nutrienti a causa dei fondali bassi e dell'apporto di acque dall'oceano indiano, pullula di vita.
Le scogliere coralline sono il rifugio di innumerevoli specie di pesci e di altri organismi marini, ancora poco studiati nonostante una spedizione italiana negli anni cinquanta, due spedizioni israeliane negli anni sessanta e le più recenti ricerche eritree. Le tartarughe marine e i delfini si vedono spesso, ma gli squali si sono fatti più rari a causa della pesca indiscriminata fatta per la raccolta delle pinne che seccate vengono inviate al ricco mercato dell'est asiatico. Il più affascinante abitante marino però è il dugongo, responsabile dell'origine del mito della sirena, un grande mammifero abitante delle acque basse e fangose dove si nutre di piante acquatiche. Ancora ce ne sono, ma sono difficilissimi da vedere e un censimento non è mai stato fatto.

Tanto è ricco il mare, quanto povere e brulle sono le isole. Infatti le piogge scarse, in media 150 mm. all'anno, esclusivamente invernali, e il terreno sabbioso o roccioso poco si addicono alla vegetazione. che manca del rigoglio di più famose isole tropicali. Pochi quindi anche gli animali terrestri, il più affascinante dei quali è certamente la gazzella di Dahlak Kebir.
Alcune migliaia di esemplari di una sottospecie nana della gazzella di soemmering (Gazella soemmeringi), non ancora scientificamente descritta, sopravvivono alla mancanza di acqua e ad un clima che le porta a "turistici" bagni in mare nei periodi più torridi. Per fortuna la benevolenza degli abitanti dell'isola ha preservato fino ad ora questo bellissimo esempio di evoluzione insulare; infatti le gazzelle non vengono cacciate dai locali, che ritengono che Dio mandi la pioggia non per gli uomini, ma per gli animali selvatici, che vanno quindi protetti.


Sterne in volo

Le isole deserte, soprattutto quelle senza ratti, sono il paradiso degli uccelli marini che vi si riproducono numerosissimi in periodi diversi a seconda delle specie. I più strani sono i droma, piccoli trampolieri che si nutrono di granchi, che nel periodo più caldo dell'anno, da giugno ad agosto, nidificano in colonie costituite da lunghi cunicoli scavati nella sabbia.
Numerosi sono gli uccelli migratori che in primavera, salutati i colleghi in viaggio per l'Europa, virano ad est e si rifocillano sulle isole prima di involarsi verso il mare aperto in direzione delle aree di nidificazione asiatiche. La strada apposta la fanno in autunno, sempre nella speranza di non incocciare in una specie di piccoli falchi (Falco concolor) che giungono apposta numerosi dalle aree di svernamento in Madagascar per allevare i piccoli a spese degli esausti migratori.

I turisti non trovano l'acqua cristallina, lo sviluppo corallino e la moderna accoglienza delle più rinomate zone turistiche del Mar Rosso settentrionale, ma la robinsoniana esperienza di dormire sulla spiaggia in un'isola deserta è e sarà sempre di più un'esperienza rara e impagabile che fa della natura di queste isole un paradiso da proteggere. La speranza è che un certo numero di isole vengano salvaguardate per le generazioni future con un parco nazionale che, a lungo auspicato, purtroppo è sempre rimasto sulla carta.



Testo e foto di Giuseppe De Marchi




 

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